La bellezza è da sempre collegata al concetto di soggettività. I gusti non devono essere discussi, dicevano i Romani. E chi sono io per contraddirli? Ma la Bellezza. Be', quella è tutta un'altra storia. Qualcosa di eterno, immortale, di imperturbabile. Le luci insanguinate di un tramonto, i ruggiti del mare in tempesta, le notti trapunte di stelle, le imponenti distese alpine. Niente di questo è soggettivo. Ma non sono io che detto legge, no. È l'arte a farlo. La Bellezza è il sublime, la Bellezza è ciò che, riflesso e imitato dall'arte, resta ineguagliabile, immobile nei secoli mortali.
Nessuno può dimenticare il Viandante sul mare di nebbia di C. D. Friedrich: il promontorio ventoso che si sporge sulla distesa brumosa resterà un'icona, l'immagine-simbolo dell'irrequieto uomo romantico. Così come altissime e irraggiungibili vette di sentimento sono racchiuse nelle tragedie classiche: la sanguinaria gioia di Clitennestra, il risoluto sacrificio di Antigone, la folle vendetta di Medea.
Bello è ciò che è armonico, ma anche ciò che è sublime. Ciò che trasmette un tiepido calore così come ciò che spaventa e inquieta con la sua potenza. L'arte deve raggiungere tutto questo: a lei il compito di cristallizzarlo e renderlo più potente del tempo stesso.
"Ma la tua eterna estate non dovrà svanire,
Né perder la bellezza che possiedi,
Né dovrà la morte farsi vanto che tu vaghi nella sua ombra,
Quando in eterni versi al tempo tu crescerai"
(W. Shakespeare)
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